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ALLA SCOPERTA DELLE MINIERE DELLA VALVARRONE.

Uno degli ingressi ancora accessibili presso il Pizzo Varrone, raggiungibile in 30 minuti dal rifugio.La presenza di vene di siderite nelle rocciose pendici del Monte Varrone e Dente diede origine sin da antichissimi tempi ad una fiorente siderurgia che si sviluppò nel corso dei secoli, giovandosi della ricchezza boschiva presente lungo le numerose valli laterali della Valsassina e della ValVarrone, che garantì il costante afflusso di carbone. L’abbondante ricchezza di acque torrentizie promossero la nascita di forni e fucine, interessando tutto l’ambito territoriale orientale.

Nel territorio prealpino delle vallate poste ad oriente del lago di Como si attestarono già in epoca paleolitica stanziamenti di popolazioni che nel mesolitico e neolitico costituirono i primi nuclei stabili, introducendo forme d’agricoltura che segnarono la prima modifica del territorio.

In località Pian delle parole (1976 m. s.l.m.), al confine con la Valtorta, vi fu il rinvenimento di un’ascia di bronzo tra resti di strutture di pietra, nei pressi di giacimenti di piombo, argento e rame. Tale oggetto è datato al XII secolo A.C. Dall’età del Ferro si nota una sempre maggiore presenza umana nella valle, come mostrano i ritrovamenti di necropoli ad Introbio, Barzio ed Esino. In epoca romana emergono le prime tracce di una sporadica attività estrattiva localizzata in alta ValVarrone. In brani di Plinio il Giovane, naturalista, e di Strabone, geografo romano, si trova conferma dell’ipotesi di un’attività estrattiva avviata in epoca romana. La presenza di scorie ancora ad alto tenore di metallo recuperate presso le miniere prova che il primo metodo di fusione impiegato fu quello del forno a cumulo, tipico dell’età tardoromana ed altomedioevale.

Nel XIII secolo l’estrazione mineraria è attestata non solo da documenti, ma anche dall’effettivo ritrovamento di miniere scavate in quest’epoca nella Grigna Meridionale. Dal 1200 è attestata a Lecco, principalmente lungo la valle del Gerenzone che sale verso la Valsassina, la presenza di fucine dove presumibilmente si lavorava il ferro proveniente dalla valle. Nel 1336 Azzone Visconti fece costruire il ponte che congiunse Lecco al Milanese. La Valsassina contribuì con una somma rilevante alla spesa dell’opera, indice di un benessere consolidato e di una fiorente imprenditorialità. Il Visconti accordò ai valligiani, in cambio del prestito, la libera escavazione delle miniere di ferro nonché il passaggio in comodato gratuito sul ponte.

La prima segnalazione di una struttura fusoria in valle risale al 1253 e riguarda il possesso del forno della Soglia (1450 m. s.l.m. località chiamata oggi Forni), sopra Premana, da parte della famiglia Denti di Bellano. Lo stesso è citato in un secondo documento del 1331, in cui è ceduto una parte dello stesso e alcune miniere in Varrone ad un Azorando de Gerola. L’attività estrattiva procedette a fasi alterne a causa dei disordini politici e amministrativi che più volte interessarono la valle. Un esempio di tale sconquasso, fu la mancata operatività della società mineraria e metallurgica costituitasi nel 1427. Essa, sorta fa un gruppo di abitanti della Valtorta e uno di milanesi, si proponeva di sfruttare le vene di ferro della Valtorta, allora sotto la giurisdizione del Ducato. Proprio in questi anni si accese la disputa che portò la valle bergamasca sotto il dominio della Repubblica veneta, fra cui le terre di Valtorta e ValTaleggio, che rimasero però sotto la guida ecclesiastica della Pieve di Primaluna fino agli anni Ottanta del XXI secolo.

Verso la metà del XV secolo il processo manifatturiero si presume dovette superare quello estrattivo, al punto che nel 1446 alcuni valsassinesi si recarono a Milano per l’acquisto di ferro. Le crescenti necessità di materia prima promossero la ricerca e gli scavi al Varrone, che si moltiplicarono sino agli inizi del XVI secolo. L’imprenditorialità delle famiglie valsassinesi creò spesso spunto per sopraffazioni e soprusi fra le stesse, per contendersi diritti d’escavazione, d’usufrutto del legname e anche sulle infrastrutture pubbliche come strade e ponti. Nel 1719 Carlo VI ordinò il censimento dello Stato, conosciuto oggi col nome di Catasto Teresiano. Tra quell’anno e il 1725 fu redatta la nuova mappatura del territorio e relativi fabbricati, e con la riforma delle amministrazioni locali condotta sotto il controllo dell’autorità centrale austriaca si segnò un passo decisivo verso l’eliminazione dei soprusi e dei favoritismi. Il regime asburgico promosse un nuovo fervore e contribuì con incentivi alla ricerca di nuovi filoni metalliferi ed all’innovazione tecnologica della fusione e lavorazione. Si fecero sondaggi e si riaprirono miniere già dismesse, nella vana speranza di rivitalizzare il complesso. Si istallarono i più moderni impianti, chiamando anche personalità straniere per contribuire all’ammodernamento. Inoltre il Fisco decretò che chi si occupava di siderurgia fosse esentato da ogni carico personale e gli edifici da quello reale.

Nel 1787 Carlo GIuseppe Bellati domandò Lire 6.000 per attivare alcune miniere; gli si accordò la cifra a condizione che mettesse in costruzione un forno alla norvegese entro il 1789. Egli si prodigò alla trasformazione, che avrebbe fatto risparmiare circa il 25%, e propose inoltre di realizzare una fucina destinata alla produzione di badili e vanghe, oltre che mazze e aratri. Si promosse per istruire un nazionale come maestro di forno, figura che in Lombardia era presente in due sole persone. Nell’ultimo decennio del XVIII dagli impianti di Premana e Barzio di proprietà Manzoni-Mornico-Spandri, usciva solo il 5.7% del ferro milanese, il 2.8% da Fondra di Cortenova, e il 2.2% da Bellati di Premana. Superati gli anni del periodo austriaco, ci si rese conto che le numerose ricerche non avevano messo in luce nuovi giacimenti di reale valore industriale, e il carbone, pur con i provvedimenti forestali introdotti, si faceva ogni giorno più scarso. Le strade per il trasporto degli elementi erano di poco migliorate, e comunque le asperità non avrebbero consentito sostanziali mutamenti. Da una inchiesta del 1807 ordinata dal governo del Regno Italico, si nota come il complesso valsassinese non aveva prodotto maggiori sviluppi da oltre un secolo.

Nel 1800 si documenta l'ultima fumata del forno di Cortenova, nel 1822 si demolisce la fucina grossa in Pra Buscanti di Barzio, nel '2‘ si spegne il forno della Troggia e del 1846 viene fatta l’ultima fumata del forno di Premana. Ma durante il XX secolo nuove attività si affacciavano in valle, in parte rivitalizzando il settore metallurgico con la diffusione di chioderie e altri opifici dediti alla produzione di ferramenta. A Premana si consolidò la produzione di articoli da taglio, grazie alla secolare esperienza coltivata nelle numerose botteghe aperte da emigranti a Venezia, Milano, Madrid e Carrara.

Nei decenni attuali, lo sviluppo economico – industriale ha interessato principalmente il paese di Premana, presso cui si è sorto un tessuto artigianale consistente, quantificabile in 150 imprese a conduzione famigliare oltre ad alcune industrie con più di cinquanta addetti, molti dei quali provenienti dai paesi vicini. La realizzazione del nuovo insediamento lungo il torrente Varrone in prossimità Giabbio ha ulteriormente contribuito a consolidare il distretto premanese, primo in Italia per la produzione di articoli da taglio.

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Il Rifugio Casera Vecchia di Varrone ha ottenuto la certificazione di qualità Ospitalità Italiana.